Spunti di diritto comparato: libertà religiosa al tempo della pandemia in Svizzera

Dell’Avv. Sandro Gallusi

Vorrei spendere alcune parole sulla situazione della Confederazione Elvetica. Un richiamo che forse può fare sorridere in rapporto alla estensione geografica ed al numero dei suoi abitanti, ma se pensiamo che è il Paese che detiene il maggior numero di brevetti internazionali depositati, la prima multinazionale mondiale e che la sola Zurigo, città cosmopolita nelle cui banche e società finanziarie si sentono tutte le lingue del mondo e che muove interessi in tutto il mondo, ci rendiamo conto che si tratta di una realtà importante ed una sorta di modello sociale di convivenza e del benessere, in cui si collocano, si incontrano e per ora non si scontrano, come accadde in passato, varie confessioni religiose.

La Confederazione Elvetica è una Repubblica Federale di stati (comunemente detti Cantoni), ciascuno dei quali ha una propria autonomia e potere decisionale anche in materia di relazioni con le varie confessioni religiose. Storicamente il Paese è diviso tra cantoni tradizionalmente protestanti (come Zurigo e Berna) e cattolici (come Ticino, Friburgo). I giorni festivi variano seguendo l’una o l’altra tradizione.

Non è raro, anche in cittadine di media grandezza, trovare oltre alla chiesa cattolica e protestante, una moschea, la sala dei Testimoni di Geova, la chiesa Mennonita, quella evangelica, la sinagoga, oltre ad altri culti minori. Dal dicembre 2014 in Berna esiste la cosiddetta Casa delle Religioni dove hanno spazi culti indù, protestanti, musulmani e buddisti, ebrei, Baha’í e Sikh. La Casa è costata 10 milioni di franchi, pagati grazie a una sottoscrizione e con l’aiuto di due Chiese del Cantone di Berna, evangelica riformata e cattolica. La Confederazione Elvetica infatti è un Paese di forte immigrazione, con il 25% circa della popolazione formato da immigrati. La migrazione del XX° secolo è stata relativamente omogenea dal punto di vista religioso fino agli anni ’70. I principali Paesi di provenienza dei migranti erano l’Italia, la Spagna e il Portogallo. L’appartenenza confessionale dei migranti non poneva problemi essendo assicurata l’adesione ad una Chiesa, pur avendo avuto effetti di diversa ripartizione nel contesto religioso svizzero, in quanto in taluni Cantoni tradizionalmente protestanti, quali ad esempio, Ginevra o Zurigo, la maggioranza confessionale si è modificata nel senso di una maggioranza di cattolici. 

Paradossalmente, la presenza e l’offerta di così varie e tante confessioni per il profilo spirituale pare richiamare la grande varietà di beni materiali offerti in una società dall’alto tenore di vita, la cui quotidianità è scandita dall’attento controllo ed uso del denaro.

Questa situazione consente di comprendere come in Svizzera, negli ultimi dieci anni, sono raddoppiate le persone che si dichiarano senza confessione (dall’11,4 al 23,9%). I cristiani, cattolici e protestanti, pur in maggioranza, partecipano sempre meno alle funzioni, ma processioni e rievocazioni storiche e feste patronali sono elementi identitari e culturali.

La religione cattolica e quella protestante, per le note vicende storiche della Confederazione Elvetica, sono maggioritarie e fanno capo ad una chiesa ‘ufficiale’, mentre l’Islam ormai terza religione del Paese è frammentato e ancora rappresentato da associazioni di diritto privato. La cosa non stupisce, se raffrontata alla situazione esistente nella Repubblica Italiana, nei rapporti tra religioni islamiche e Stato.

In anni recenti quindi, la divisione tra cantoni cattolici e riformati è diventata più sfumata. A Glarus, Basilea Città, Vaud e Neuchâtel – storicamente protestanti – i fedeli cattolici sono attualmente più numerosi. In realtà entrambe le religioni storiche hanno perso terreno. Secondo i dati UST, dal 2000 al 2015 i cattolici sono scesi dal 42,3 al 37,3%, i protestanti dal 33,9 al 24,9%. Aumentati i musulmani (dal 3,6 al 5,1%) e gli “altri cristiani”. (fonte FSM – Fondo Svizzero per lo studio delle Migrazioni e CFR – Commissione Federale contro il Razzismo)

La chiesa cattolica romana e quella evangelica riformata, sono dette quindi ‘ufficiali’ e anche citate esplicitamente nelle costituzioni dei Cantoni, ad esempio dei Grigioni e del Ticino. Sono corporazioni di diritto pubblico e possono riscuotere l’imposta di culto, prelevata a livello comunale, ma non in ogni cantone. Le chiese “ufficiali” infatti godono di un trattamento più favorevole rispetto alle altre confessioni religiose presenti sul territorio, siano esse recenti quali l’Islam o il buddismo o più antiche quali l’ebraismo. Per comprendere questa peculiare situazione va rammentato che ben due referendum di iniziativa popolare (federale nel 1990 e nel Canton Zurigo nel 1995) diretti a stabilire il principio di separazione tra Stato e chiese, con l’effetto quindi di riallineare tutte le confessioni religiose alla medesima distanza dallo Stato, sono stati bocciati dai votanti, così come il più recente e noto referendum per abolire il divieto di costruire minareti, contenuto nella Costituzione, come di modificare l’Inno nazionale, cosiddetto Salmo Svizzero. Per tradizione consolidata, resa manifesta e condensata nella croce posta sulla bandiera nazionale, il cristianesimo è parte della storia della Confederazione, pur se declinato diversamente.

Il diverso trattamento delle comunità religiose può portare ad un conflitto tra il diritto federale ed il diritto cantonale, in quanto la norma di principio di uguaglianza nel diritto è radicato nella Costituzione federale, mentre i concreti riconoscimenti sono enunciati, in regola generale, nelle Costituzioni cantonali. 

La Chiesa Cattolica nella Confederazione Elvetica è composta da sei Diocesi, senza ArciDiocesi, quindi direttamente soggette alla Santa Sede.

La peculiarità del cattolicesimo svizzero è quindi data dalla chiese cantonali che non coincidono con le diocesi ed anzi possono entrare anche in contrasto con esse. A livello locale è attivo il consiglio parrocchiale, che presenta una differenza fondamentale con il Consiglio per gli affari economici della parrocchia presente in Italia. Infatti non è nominato né presieduto dal parroco, ed è un organo elettivo. Questa struttura è speculare in parte all’ordinamento civile e in parte all’organizzazione della Chiesa evangelica, per poter avere pari peso nel rapporto con le autorità, utilizzando una struttura che presenta le medesime caratteristiche.

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Nella Confederazione Elvetica non vi è un concetto pacifico di univoco riconoscimento di diritto pubblico delle comunità religiose, in quanto la Costituzione Federale delega interamente ai Cantoni di regolamentare le relazioni tra lo Stato e le istituzioni. La regolamentazione dei rapporti tra le comunità religiose o le Chiese e lo Stato è di competenza, quindi, dei singoli Cantoni. Questo significa che in Svizzera esistono su questa questione, 26 approcci diversi e 26 risposte diverse.

Ogni Cantone ha definito i rapporti tra comunità religiose e Stato o nella propria Costituzione o in apposite leggi in base alla sua specifica storia. Si va dalla separazione assoluta tra Stato e Chiesa (Ginevra e Neuchâtel), fino al riconoscimento di una Chiesa di stato (ad es. Zurigo). Il riconoscimento di diritto pubblico è previsto in sedici cantoni, mentre sei cantoni prevedono un riconoscimento di diritto privato di altre comunità religiose o lo permettono accanto al riconoscimento di diritto pubblico (ciò che spiega la molteplicità presente nella lista. Infine altri cantoni non hanno formulato disposizioni atte al riconoscimento. Resta ancora da sottolineare che per le confessioni religiose vi è l’obbligo di avere un’organizzazione democratica ai fini del riconoscimento. La comunità religiosa è tenuta a riconoscere l’ordine legale dello Stato, delle altre religioni ad a partecipare alla risoluzione dei problemi. Lo strumento del riconoscimento di diritto pubblico comporta quindi il coinvolgimento delle comunità religiose all’interno dello Stato di diritto democratico e organizzato in maniera federale. 

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Per quanto attiene la recente situazione causata dal coronavirus, anche nella Confederazione Elvetica sono stati posti divieti alla libera circolazione delle persone, alla stregua di quanto si è fatto nella Repubblica Italiana, e conseguentemente è stata limitata anche la partecipazione alle Messe, con provvedimento del Consiglio Federale, che ha disposto la ripresa delle Messe con il popolo solo dopo l’8 giugno 2020.

In vista di questa ripresa, le varie Diocesi si sono quindi rapportate con le autorità Cantonali anche per discutere il progetto di un piano di misure in vista del ripristino delle funzioni religiose.

In particolare la Curia di Lugano ha elaborato e proposto le seguenti misure per adeguare spazi e accessi di ogni oratorio e chiesa aperti al pubblico: 

  1. «I responsabili stabiliscano la capienza massima di persone, tenendo conto che a ogni fedele dovrà essere garantito uno spazio (intercalato tra le file di banchi o sedie) di 4 m², in ogni caso non più di 1/3 della capienza massima normale. I nuclei familiari non vanno separati».
  2. «I posti a sedere disponibili devono essere predisposti e indicati chiaramente».
  3. «Vanno tolti tutti i sussidi per i fedeli (libretti di canto ecc.)».
  4. “Agli ingressi deve essere costantemente disponibile del liquido disinfettante per la pulizia delle mani».
  5.  »Agli ingressi vanno collocati in modo evidente i cartelli dell’Ufficio federale della sanità pubblica». 
  6. «Tutte le superfici e i punti di contatto andranno regolarmente sanificati».
  7. «Per questioni relative alle opere d’arte, si prenda contatto con la Commissione diocesana per l’Arte sacra».

Quindi indicazioni concretamente svizzere.

Fonti consultate: UST . Ufficio Federale Svizzero di Statistica; Diocesi Lugano; RTSI; FSM – Fondo Svizzero per lo studio delle Migrazioni e CFR – Commissione Federale contro il Razzismo.

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