Ecologia integrale: nodi di rigenerazione, di Mons. Mario Toso, svolto al Convegno CURA DELLA CASA COMUNE, all’interno della Rassegna RIGENERA – Festival dell’Architettura contemporanea, a cura dell’Ordine degli Architetti di Reggio Emilia

La rigenerazione dell’umano rigenera l’architettura

Premessa

La questione sociale odierna, come ha ben evidenziato la Laudato sì’ (=LS)1 di Papa Francesco è una questione ecologicao, meglio, di ecologia integrale. Pertanto, guardando alle cause e alle possibili soluzioni di tale questione, che concerne l’umanità intera e il pianeta terra, visti insieme, siamo chiamati a vivere una conversione integrale, da parte di tutti, a più livelli.

Una tale conversione, fatta di cambiamento di mentalità, di cultura, di stili di vita e di atteggiamenti, concerne le molteplici relazioniche sostanziano il tutto sociale, dato dall’unità tra «ambiente umano» e «ambiente naturale», tra paradigmi di umanesimo e benessere abitativo, urbanistico. Non si dà una rigenerazione dell’architettura senza un’antropologia adeguata. Non si dà, infatti, esistenza umana fuori dal contesto ambientale, rurale, urbano ed architettonico. Tutto è connessonella realtà che viviamo.

Proprio per questo, la questione sociale non va affrontata come una questione a sé stante, separata dalla questione ambientale, rurale ed urbanistica, bensì come questione interconnessa con l’ecologia.

La questione sociale odierna è questione ecologica integrale

La LS ci sollecita a riflettere sulla questione sociale contemporanea muovendo dalla considerazione di quello che sta accadendo alla nostra casa comune (capitolo I), ossia a partire dai cambiamentidell’umanità e del pianeta, dalla loro rapidità. In particolare, cominciando dalle forme di inquinamento(rifiuti, cultura dello scarto) e dai cambiamenti climatici; dalla questione dell’acqua, dalla perdita di biodiversità, dagli effetti del degrado ambientalee dell’attuale modello di svilupposulla vita delle persone, dell’umanità; dall’inequità planetaria. «Di fatto il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta»,2siano essi individui o Paesi interi.3

In breve, la questione sociale ambientale si presenta in particolare come una questione etica digiustizia. Vi è un «debito ecologico» soprattutto del Nord nei confronti del Sud del pianeta. Vi è, poi, un «debito intergenerazionale» (di pari opportunità fra successive generazioni) ed «infragenerazionale» (di parità di accesso fra gli attuali cittadini del pianeta). Vi è una questione di giustizia ecologica, relativa al degrado degli ecosistemi.

All’origine della crisi ecologica odierna sta, secondo papa Francesco, una causa di origine prevalentemente umana. Si tratta, in particolare, dell’antropocentrismomodernoe del connesso paradigma tecnocratico. All’origine della crisi ecologica, si avrebbe, dunque, principalmente una causa antropologica. Più precisamente, un antropocentrismodeviato, che assolutizza il vantaggio dei singoli, la ragione tecnica, sino a ritenere quest’ultima – elemento peraltro importante del progresso – capace di risolvere tutti i problemi e di creare il senso delle cose. La tecnica, invece, ma anche i mercati, da soli, non sono in grado di garantire uno sviluppo integrale, sostenibile (umano), inclusivo e, quindi, di risolvere i problemi della fame, della miseria, dei processi di urbanizzazione, della crisi ecologica.

Quale punto archimedico, dunque, quale curaterapeutica e rigenerativadella cultura oggi dominante: cultura di tipo tecnocratico, consumistico, devastante, foriera di ingiustizie e di diseguaglianze?

Occorre far leva su una cultura ecologica personalista,aperta alla Trascendenza. Solo una cultura così connotata può essere generatrice di un’etica ecologica integrale, ossia di un’ecologia secondo cui l’essere umano non è signore assolutodell’universo, totalmente autonomo rispetto ad esso, bensì unamministratoreche sa riconoscerne e rispettarne gli ordinamenti intrinseci. Solo unanuova visionedell’uomo, non prometeica, solo un’umanità nuova, ovvero teocentrica, potrà instaurare una corretta relazione con il creato, con l’ambiente naturale, rurale ed urbano. Solo ripristinando un umanesimo trascendente, un umanesimo di tipo relazionale, ad impronta trinitaria, si potrà disporre di una concezione umanista del lavoro, della tecnica, della finanza, della città, dell’architettura. Solo ripristinando un umanesimo trascendentesarà possibile disporre di una fonte che ispira e modella i vari processi di urbanizzazione, le politiche volte alla rigenerazione urbana. L’umanesimo trascendente, frutto della rivelazione cristiana, considera la relazionalitàcome elemento essenziale dell’humanum. La persona, strutturata a tu, si compie in un «noi di persone in comunione tra di loro» e in una relazionalità che serve il bene comune e il creato senza strumentalizzazioni.

Ma occorre chiedersi: da dove può derivare un nuovo umanesimo trascendente, o quella nuova sintesi culturaleche lo compagina; da dove, in ultima analisi, può pervenirci la forza rigeneratrice di una nuova antropologia e di una nuova morale per l’attività umana, compresa quella architettonica? Secondo papa Francesco – egli non esita ad affermarlo – essi derivano a noi dalle convinzioni di fede, le quali ci offrono una fonte di sapere ed un vigore etico che integrano i vari saperi umani e le forze morali dell’uomo.

Secondo la LS le convinzioni di fede, che complementano le nostre conoscenze terrene, sono contenute sia nel «vangelo della creazione» sia nel «vangelo della redenzione». Entrambi i «vangeli», che si integrano tra di loro, aiutano a superare l’antropocentrismo dispotico, ovvero la tentazione che ha l’uomo di pensarsi onnipotente, riducendo tutto il creato, le stesse città, a «materia» manipolabile arbitrariamente, secondo criteri meramente tecnici o economici. Inoltre, immettono in una prospettiva di fede secondo cui il creato, l’umanità con la sua attività, dopo il peccato, sono «assunti» e attirati nella sfera della nuova creazione, che egli ha inaugurato con la sua incarnazione, morte e risurrezione. Il Risorto avvolge misteriosamente le creature, le attività umane, compresa l’architettura, e le orienta ad un destino di pienezza.4Dopo la risurrezione, mediante cui sottopone il creato ai gemiti di una nuova creazione, non abbandona questo mondo. Vive in esso, seppur in maniera invisibile. Lavora al suo compimento. Queste verità teologiche sono magnificamente proposte dal Beato Angelico nella sua famosa opera pittorica che raffigura il Risorto, incontrato e riconosciuto da Maria Maddalena, con la zappa in spalla, pronto a salire al Padre, ma sempre all’opera nel giardino creato da Dio.

Per quanto sin qui detto, papa Francesco ci fa capire che nella soluzione della questione ecologica, questione di ecologia integrale, in cui ecologia umana ed ecologia ambientale formano un tutt’uno, in cui un nuovo umanesimo trascendentesuscita indimenticabili paradigmi di benessere abitativo e di armonia urbanistica, come dimostra la storia del nostro Paese, è cruciale e decisiva la fede nel Risorto. Mediante una fede che contempla il Risorto e lo incontra nella storia si raggiunge un punto generativo di nuovo pensiero, di nuova cultura e di nuova architettura davvero unico. È dalla fede nella redenzione di Cristo che scaturisce un nuovo umanesimo trascendentee, di conseguenza, una nuova visionedel lavoro, della tecnica, della finanza, dell’economia, della politica, dello sviluppo, della città, dell’architettura religiosa e civile, non in quanto fini a se stessi, ma quali realtàministerialial bello, alla pienezza umana in Dio delle persone, delle famiglie e dei popoli. In Italia, molteplici edifici religiosi e costruzioni civili testimoniano quell’umanesimo trascendente e comunitario di cui le città, i borghi e le stesse piazze di importanti città mostrano di essere impronta viva ed eloquente. A tali esempi di umanità architettonica, come è il caso della piazza del palio di Siena o le «case a corte», edilizia di origine contadina, hanno poi fatto da contraltare l’obbrobrio delle Vele di Scampia, costruite tra il 1962 e il 1975, ed anche l’edilizia del secondo dopoguerra, gli anni del boomdemografico. Siamo stati testimoni dei grandi progetti di urbanizzazione che tendevano a coincidere con forme architettoniche e urbanistiche di collettivizzazione, ispirate da ideologie socialiste e comuniste. Veniva concretizzato un modello di edilizia intensiva in cui il bello e l’umano sembravano essere marginalizzati. Oggi, sospinti anche dall’ala dell’ecologia integrale, espressione dell’ispirazione cristiana, viene offerta all’architettura la possibilità di una felice rigenerazione delle città. Specie di quelle città in cui sussiste il degrado delle periferie, ma anche di quelle in cui è stata realizzata una rigenerazione standardizzata, parziale, ossia solo sulla proprietà pubblica, senza una feconda ibridazione tra pubblico e privato. È noto che la rigenerazione urbana deve tener conto di soluzioni che consentano alla qualità architettonica di abbinarsi alla sostenibilità energetica e alla sicurezza antisismica. Ma non può essere sottovalutato l’apporto ispiratore di quell’umanesimo trascendente di cui si è parlato poco sopra. Esso è intrinseco all’umanità. Rigenerare le città, poi, deve andare di pari passo con il recupero di radici e di identità, spesso appiattite da prospettive globaliste, con la valorizzazione delle relazioni umane e sociali, del protagonismo delle comunità locali, consentendo ai comuni di svolgere un ruolo primario.

Quanto affermato da papa Francesco è oggi particolarmente fecondo e creativo da un punto di vista sociale e della stessa rigenerazione architettonica. Se si intende, in specie, dar vita ad un rinascimentoantropologico ed etico – che come già accennato, è premessa di un pensiero pensante, non strumentale -, ma anche al rafforzamento dello Stato di dirittoe alla tenuta moraledella democrazia, in contesti in cui prevalgono prospettive improntate ad un neoindividualismo utilitarista e libertario, occorre coltivare un umanesimo cristocentrico, che include una visione metafisica della relazione tra le persone, un personalismo aperto alla trascendenza.

A questo punto potremmo dire che fattore rigenerante del vivere sociale, delle città, come anche fattore compattante un’ecologia integrale, in definitiva, è la fede in Cristo. Come risulta affermato nella lettera apostolica Querida Amazonia, fattore primo e principale della realizzazione di un’ecologia integrale, implicante una più profonda umanizzazione, è l’annuncio di Cristo.

  1. Altri nuclei rigeneranti a livello sociale e civile

Essendo la questione sociale odierna una questione di ecologia integrale c’è bisogno di soluzioni integrali, ossia di soluzioni che tengono in conto del fatto che non vi è una crisi ambientale e una crisi sociale, bensì un’unica crisi socio-ambientale,5che tocca i vari piani d’esistenza.

Le soluzioni vanno, allora, ricercate su più livelli di azione. Innanzitutto, sul piano internazionale, facendo leva su un consenso mondiale, su Vertici mondialimeno inconcludenti; sul piano delle politiche nazionali e locali; su una democrazia dal bassoe su una cittadinanza attiva.

Considerando quest’ultimo livello, papa Francesco, auspica la nascita dimovimenti ecologici mondialinazionali, dei cittadini in quanto tali, degli imprenditori, dei consumatori, delle famiglie, sostenuti dal dialogo delle religioni e delle scienze, da una grande opera di educazione. Ma quale educazione, considerato che essa stessa è in profonda crisi? L’educazione di cui oggi necessitiamo non deve limitarsi ad offrire nozione scientifiche e a prevenire rischi o a riparare danni. Deve includere la criticaai «miti» della modernità, basati su una ragione strumentale, su paradigmi scientisti; deve aiutare a recuperare i diversi livelli dell’equilibrio ecologico e a fare quel salto verso il mistero, che consente di dare un fondamento profondo all’etica ecologica.6

L’obiettivodell’educazione è quello di formare ad una cittadinanzaecologica; a solide virtùche abilitino ad un impegno disinteressato e costante, radicato su motivazioni adeguate; a tutta una serie di piccole azioni quotidiane, ad esempio, volte ad evitare l’uso di materiale plastico e lo spreco di carta; a ridurre il consumo dell’acqua; a differenziare i rifiuti; a cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà consumare; a spegnere le luci inutili; a riciclare le cose invece di disfarsene; a trattare con rispetto gli altri esseri viventi; ed anche a piantare alberi. Sono azioni che diffondono un benenella società e ci restituiscono il senso della nostra dignità.7

Una solida educazione ecologicaè strategica e, talora, ultima chancedi fronte alla frequenza dei comportamenti illegalinell’amministrazione degli Stati, nella società civile e tra i cittadini. 

Le leggi possono anche essere chiare, possono anche essere state correttamente approvate e promulgate, ma spesso non sono applicate. Se non basta una legislazione chiara per la protezione dell’ambiente, ad esempio di una foresta, come avviene spesso in Brasile, o per la protezione della salute pubblica, come in Italia nella «Terra dei fuochi», territorio in cui sono stati compiuti sversamenti di rifiuti industriali, tossici e nucleari, con la complicità della malavita e delle amministrazioni, di che altro c’è bisogno? Su questo tema torneremo tra poco.

Oltre ad una legislazione riformata, resa più chiara e certa, occorre unavita buonache deve animare le istituzioni sociali, la vita dei cittadini, compresi gli architetti, e che si acquisisce mediante un’educazione integrale, aperta alla trascendenza. C’è bisogno di un nuovoethos, permeato da fraternità universale e da solidarietà. La vitabuonasi struttura, mediante l’educazione alle virtù, imperniata attorno alla legge moralenaturale, inscritta nella coscienza di ogni uomo, e alla nozione di bene comune, principio centrale dell’ecologia sociale.

Solo il riconoscimento del primato del bene comuneaiuterà i cittadini e la politica, ma anche gli architetti, a non cedere alla corruzione, all’illegalità, agli interessi particolaristici. Gli Stati, i cittadini e gli uomini politici sono aperti alla protezione dell’ambiente, bene collettivo, quandosono contemporaneamente aperti al bene di tutti. Solo se il bene comune viene posto al centro dell’azione politica e delle società civili, si può superare il dramma di un agire istituzionale focalizzato su risultati immediati; schiavo di un’economia a sua volta succube del capitalismo finanziario; ostaggio di interessi elettorali8o di gruppi criminali organizzati, forniti di ingenti mezzi finanziari e di collusive protezioni.

Un criterio chiave per tutti, compresi i politici e gli architetti: la formazione della coscienza morale

Senza un’ecologia umana, ossia senza persone coltivate come esseri morali, liberi e responsabili, con una chiara e forte coscienza del bello, del bene, specie del bene comune, considerati alla luce dello sviluppo sostenibile, non è immaginabile di risolvere la questione ambientale.

Senza una coscienza morale ben formata, senza un’esistenza virtuosa, orientata dal bene, dal vero e da Dio,non è possibile affrontare adeguatamente i problemi ecologici, salvare la biodiversità, evitare l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, l’uso dissennato delle risorse, rigenerare le aree urbane, cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra di loro e con i sistemi sociali.

Senza persone formate moralmente e dal punto di vista professionale (sui problemi reali, concernenti la salute della città, del pianeta e del creato) c’è il pericolo che non si riesca a valutare il reale impatto ecologico delle nostre azioni. Chi, ad esempio, non ha una coscienza morale formata, difficilmente si atterrà all’osservanza delle leggirelative alla salvaguardia dell’ambiente, all’uso dell’acqua, all’ecologia urbana.

Senza un’educazione e una formazione di base, non è possibile l’attuazione delle leggi, il mantenimento della legalità.

Tanto all’interno dell’amministrazione della cosa pubblica, quanto nelle diverse espressioni della società civile (a livello di sindacati, a livello di urbanistica, di costruzioni) o nelle relazioni degli abitanti tra loro, si registrano con eccessiva frequenza comportamenti illegali.

Come ho già accennato sopra, le leggi possono essere redatte in forma corretta, ma spesso rimangono come lettera morta. Papa Francesco si pone, allora, una domanda: «Si può dunque sperare che la legislazione e le normative relative all’ambiente siano realmente efficaci? Sappiamo, per esempio, che Paesi dotati di una legislazione chiara per la protezione delle foreste, continuano a rimanere testimoni muti della sua frequente violazione. Inoltre, ciò che accade in una regione esercita, direttamente o indirettamente, influenze sulle altre regioni. Così per esempio, il consumo di droghe nelle società opulente provoca una costante o crescente domanda di prodotti che provengono da regioni impoverite, dove si corrompono i comportamenti, si distruggono vite e si finisce col degradare l’ambiente».9

A proposito di formazione della coscienza nella Laudato sìviene fatta questa considerazione, che non è assolutamente banale e secondaria per gli stessi architetti.

Chi mostra una considerevole superficialità nei confronti dei beni-valori della vita (dal concepimento alla fine naturale), come quando l’interruzione della gravidanza è talmente banalizzata da essere equiparata ad un semplice intervento farmacologico, oppure come è avvenuto nei confronti degli anziani nel tempo di pandemia (posposti ai più giovani nell’accesso alla terapia intensiva), appare, purtroppo, poco affidabile dal punto di vista dell’ecologia integrale, della salvaguardia dell’ambiente naturale ed urbano. Infatti, come potrebbe essere affidabile chi mostra poco rispetto per il bene primario della vita delle persone, ossia chi in sostanza è disposto a barattare la vita altrui per un interesse economico, utilitaristico o per un diritto arbitrario? Purtroppo una radice di inaffidabilità nei confronti della salvaguardia dell’ambiente si può ravvisare persino nel caso della non osservanza delle norme di sicurezza anti Covid-19. Chi pensa solo a se, e non anche alla vita altrui, rinunciando alla mascherina, non appare propenso alla tutela dell’ambiente.

Alcune linee pratiche di soluzione 

Tra i compiti dei cittadini, dei sindacati, dei politici, ma anche degli architetti, si possono annoverare:

  1. La coltivazione di un’ecologia culturale. Insieme al patrimonio naturale, ad es., di una città, va promosso anche il patrimonio storico, artistico e culturale (ugualmente minacciato). Quest’ultimo fa parte dell’identitàdi una città. Quindi, non si tratta di distruggere e di creare nuove città ipoteticamente più ecologiche. Si tratta, invece, di prestare attenzione alla cultura locale, non solo intesa come insieme di monumenti del passato, bensì come insieme delle molteplici relazioni di una cittadinanza con l’ambiente in cui vive, con la storia che la caratterizza, dal punto di vista architettonico, della vita quotidiana, della qualità della sua vita e delle conquiste tecno-scientifiche. Non bastano soluzioni meramente tecniche, senza tener conto della storia architettonica e culturale di una città. Le soluzioni meramente tecniche rischiano di non prendere in considerazione aspetti simbolici e culturali fondamentali per le comunità cittadine e rurali.
  2. La coltivazione dell’ecologia della vita quotidiana. Autentico sviluppo si ha quando si attua un miglioramento integrale della qualità della vita umana, tenendo conto degli spaziin cui si svolge l’esistenza delle persone. Gli ambienti in cui viviamo influiscono sul nostro modo di vedere la vita, di sentire e di agire. Al tempo stesso, nella nostra casa, nella mia stanza, nel nostro luogo di lavoro facciamo uso dell’ambiente per esprimere la nostra identità. Detto altrimenti, l’ambiente ci impone dei limiti, dei condizionamenti, allorché è disordinato, caotico, saturo di inquinamento visivo ed acustico. L’ambiente urbano non curato, degradato, malsano, influisce negativamente sulle persone, sulla loro salute, sul loro carattere, sull’umore, sui comportamenti.
  3. Incoraggiare la creatività e la generosità di persone e di gruppi perché siano capaci di ribaltare i limiti dell’ambiente. A volte è encomiabile l’ecologia umana che riescono a sviluppare i poveri in mezzo a tante limitazioni. La loro vita sociale positiva e benefica diffonde luce in un ambiente a prima vista invivibile. In alcuni luoghi, dove le facciate degli edifici sono molto deteriorate, vi sono persone che curano con molta dignità l’interno delle loro abitazioni, o si sentono a loro agio per la cordialità e l’amicizia della gente. «La sensazione di soffocamento prodotta dalle agglomerazioni residenziali e dagli spazi ad alta densità abitativa, viene contrastata se si sviluppano relazioni umane di vicinanza e calore, se si creano comunità, se i limiti ambientali sono compensati nell’interiorità di ciascuna persona, che si sente inserita in una rete di comunione e di appartenenza. In tal modo, qualsiasi luogo smette di essere un inferno e diventa il contesto di una vita degna» (Laudato sì’n. 148).
  4. Combattere l’estrema penuria di alcuni ambienti periferici, privi di armonia, di ampiezza, di possibilità di integrazione per impedire l’insorgere di comportamenti disumani e la manipolazione delle persone da parte di organizzazioni criminali. Per gli abitanti di quartieri periferici molto precari, l’esperienza quotidiana di passare dall’affollamento all’anonimato sociale che si vive nelle grandi città, può provocare una sensazione di sradicamento che favorisce comportamenti antisociali e violenza.
  5. Favorire la progettazione di edifici, quartieri, spazi pubblici, città col contributo di più discipline capaci di comprendere i processi, il simbolismo e i comportamenti delle persone. Non basta la ricerca della bellezza nel progetto, perché ha ancora più valore servire un altro tipo di bellezza: la qualità della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, l’incontro e l’aiuto reciproco. Anche per questo è tanto importante che il punto di vista degli abitanti del luogo contribuisca sempre all’analisi della pianificazione urbanistica (LS n. 150).
  6. Potenziare la cura degli spazi pubblici, dei quadri prospettici, dei punti di riferimento urbani, che accrescono il senso di appartenenza, di radicamento, del «sentirsi a casa» all’interno della città intesa come un «noi».
  7. Politiche che favoriscono la proprietà della casa. Questa favorisce la dignità delle persone e lo sviluppo delle famiglie. Si tratta di una questione centrale dell’ecologia umana. Vanno migliorati gli agglomerati caotici di case precarie, urbanizzandoli, non cacciando le persone. Sono belle le città che superano la sfiducia, integrano i differenti e fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo. Sono belle le città che anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro.
  8. Lacura della qualità della vita nelle città rispetto al trafficointenso, inquinante, con consumo di enormi quantità di energia non rinnovabile, con la conseguente costruzione di più strade e parcheggi che danneggiano il tessuto urbano. E, quindi, diventa necessario considerare l’urgenza del miglioramento sostanziale dei trasporti urbani, spesso affollati all’inverosimile, scomodi, con scarsa frequenza dei servizi, introducendo bus elettrici, come green-go bus a Faenza, la città ove sono vescovo.
  9. Operare affinché la tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti, come il carbone, il petrolio, il gas (in misura minore) venga progressivamente sostituita, incrementando lo sviluppo delle energie rinnovabili. «Non si può pensare a ricette uniformi, perché vi sono problemi e limiti specifici di ogni Paese e regione. È vero anche che il realismo politico può richiedere misure e tecnologie di transizione, sempre che siano accompagnate dal disegno e dall’accettazione di impegni graduali vincolanti. Allo stesso tempo, però, in ambito nazionale e locale c’è sempre molto da fare, ad esempio promuovere forme di risparmio energetico. Ciò implica favorire modalità di produzione industriale con massima efficienza energetica e minor utilizzo di materie prime, togliendo dal mercato i prodotti poco efficaci dal punto di vista energetico o più inquinanti. Possiamo anche menzionare una buona gestione dei trasporti o tecniche di costruzione e di ristrutturazione di edifici che ne riducano il consumo energetico e il livello di inquinamento. D’altra parte, l’azione politica locale può orientarsi alla modifica dei consumi, allo sviluppo di un’economia dei rifiuti e del riciclaggio, alla protezione di determinate specie e alla programmazione di un’agricoltura diversificata con la rotazione delle colture. È possibile favorire il miglioramento agricolo delle regioni povere mediante investimenti nelle infrastrutture rurali, nell’organizzazione del mercato locale o nazionale, nei sistemi di irrigazione, nello sviluppo di tecniche agricole sostenibili. Si possono facilitare forme di cooperazione o di organizzazione comunitaria che difendano gli interessi dei piccoli produttori e preservino gli ecosistemi locali dalla depredazione» (n. 180).
  10. Politiche di disincentivazione delle cattive pratiche e di incentivazione delle buone pratiche, come lo studio dell’impatto ambientale prima dell’elaborazione di un progetto produttivo, come l’incentivazione di processi trasparenti che coinvolgono gli abitanti di un luogo, rifiutando politiche focalizzate solo su risultati immediati.
  11. Politiche che non si subordinano pedissequamente ad una finanza di mera speculazione.

Conclusione

Di particolare importanza sono le parole rivolte da papa Francesco all’uditorio dell’Udienza generale del 12 settembre 2020, anche con riferimento al rapporto tra ecologia integrale e rigenerazione architettonica: «Per uscire migliori da una crisi come quella attuale, che è una crisi sanitaria e al tempo stesso una crisi sociale, politica ed economica, ognuno di noi è chiamato ad assumersi la sua parte di responsabilità cioè condividere le responsabilità. Dobbiamo rispondere non solo come persone singole, ma anche a partire dal nostro gruppo di appartenenza, dal ruolo che abbiamo nella società, dai nostri principi e, se siamo credenti, dalla fede in Dio. Spesso, però, molte persone non possono partecipare alla ricostruzione del bene comune perché sono emarginate, sono escluse o ignorate; certi gruppi sociali non riescono a contribuirvi perché soffocati economicamente o politicamente. In alcune società, tante persone non sono libere di esprimere la propria fede e i propri valori, le proprie idee: se le esprimono vanno in carcere. Altrove, specialmente nel mondo occidentale, molti auto-reprimono le proprie convinzioni etiche o religiose. Ma così non si può uscire dalla crisi, o comunque non si può uscirne migliori. Usciremo in peggio».

+ Mario Toso

Vescovo di Faenza-Modigliani e

Delegato per i problemi sociali e il lavoro della Conferenza Episcopale Emilia Romagna

1Cf Francesco,Laudato sì’(=LS), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015.

2LS n. 48.

3Cf LS n. 51.

4Cf LS n. 100.

5Cf LS n. 139.

6Cf LS n. 210.

7Cf LS nn. 211-212.

8Cf n. 178.

9FRANCESCO, Laudato sì’, n. 142.

Rigenera. Festival dell’Architettura. 14 settembre – 18 ottobre 2020.

L’Unione Locale Giuristi Cattolici di Reggio Emilia partecipa a Rigenera, il Festival dell’Architettura, che si svolgerà a Reggio Emilia dal 14 settembre al 18 ottobre 2020.

Il 2 ottobre 2020, presso BINARIO 49, CAFFÈ LETTERARIO, in Via G. Turri, 49, si svolgerà il convegno “La Cura della Casa Comune“, organizzato, insieme all’organizzazione di Rigenera, dall’Unione Locale Giuristi Cattolici:

14.30 Registrazione

15.00 Inizio

Live + Webinar

LIVE

https://www.eventbrite.it/e/114904221620

WEBINAR

https://attendee.gotowebinar.com/register/1927842315262241037

Iscrizione obbligatoria.

Spunti di diritto comparato: libertà religiosa al tempo della pandemia in Svizzera

Dell’Avv. Sandro Gallusi

Vorrei spendere alcune parole sulla situazione della Confederazione Elvetica. Un richiamo che forse può fare sorridere in rapporto alla estensione geografica ed al numero dei suoi abitanti, ma se pensiamo che è il Paese che detiene il maggior numero di brevetti internazionali depositati, la prima multinazionale mondiale e che la sola Zurigo, città cosmopolita nelle cui banche e società finanziarie si sentono tutte le lingue del mondo e che muove interessi in tutto il mondo, ci rendiamo conto che si tratta di una realtà importante ed una sorta di modello sociale di convivenza e del benessere, in cui si collocano, si incontrano e per ora non si scontrano, come accadde in passato, varie confessioni religiose.

La Confederazione Elvetica è una Repubblica Federale di stati (comunemente detti Cantoni), ciascuno dei quali ha una propria autonomia e potere decisionale anche in materia di relazioni con le varie confessioni religiose. Storicamente il Paese è diviso tra cantoni tradizionalmente protestanti (come Zurigo e Berna) e cattolici (come Ticino, Friburgo). I giorni festivi variano seguendo l’una o l’altra tradizione.

Non è raro, anche in cittadine di media grandezza, trovare oltre alla chiesa cattolica e protestante, una moschea, la sala dei Testimoni di Geova, la chiesa Mennonita, quella evangelica, la sinagoga, oltre ad altri culti minori. Dal dicembre 2014 in Berna esiste la cosiddetta Casa delle Religioni dove hanno spazi culti indù, protestanti, musulmani e buddisti, ebrei, Baha’í e Sikh. La Casa è costata 10 milioni di franchi, pagati grazie a una sottoscrizione e con l’aiuto di due Chiese del Cantone di Berna, evangelica riformata e cattolica. La Confederazione Elvetica infatti è un Paese di forte immigrazione, con il 25% circa della popolazione formato da immigrati. La migrazione del XX° secolo è stata relativamente omogenea dal punto di vista religioso fino agli anni ’70. I principali Paesi di provenienza dei migranti erano l’Italia, la Spagna e il Portogallo. L’appartenenza confessionale dei migranti non poneva problemi essendo assicurata l’adesione ad una Chiesa, pur avendo avuto effetti di diversa ripartizione nel contesto religioso svizzero, in quanto in taluni Cantoni tradizionalmente protestanti, quali ad esempio, Ginevra o Zurigo, la maggioranza confessionale si è modificata nel senso di una maggioranza di cattolici. 

Paradossalmente, la presenza e l’offerta di così varie e tante confessioni per il profilo spirituale pare richiamare la grande varietà di beni materiali offerti in una società dall’alto tenore di vita, la cui quotidianità è scandita dall’attento controllo ed uso del denaro.

Questa situazione consente di comprendere come in Svizzera, negli ultimi dieci anni, sono raddoppiate le persone che si dichiarano senza confessione (dall’11,4 al 23,9%). I cristiani, cattolici e protestanti, pur in maggioranza, partecipano sempre meno alle funzioni, ma processioni e rievocazioni storiche e feste patronali sono elementi identitari e culturali.

La religione cattolica e quella protestante, per le note vicende storiche della Confederazione Elvetica, sono maggioritarie e fanno capo ad una chiesa ‘ufficiale’, mentre l’Islam ormai terza religione del Paese è frammentato e ancora rappresentato da associazioni di diritto privato. La cosa non stupisce, se raffrontata alla situazione esistente nella Repubblica Italiana, nei rapporti tra religioni islamiche e Stato.

In anni recenti quindi, la divisione tra cantoni cattolici e riformati è diventata più sfumata. A Glarus, Basilea Città, Vaud e Neuchâtel – storicamente protestanti – i fedeli cattolici sono attualmente più numerosi. In realtà entrambe le religioni storiche hanno perso terreno. Secondo i dati UST, dal 2000 al 2015 i cattolici sono scesi dal 42,3 al 37,3%, i protestanti dal 33,9 al 24,9%. Aumentati i musulmani (dal 3,6 al 5,1%) e gli “altri cristiani”. (fonte FSM – Fondo Svizzero per lo studio delle Migrazioni e CFR – Commissione Federale contro il Razzismo)

La chiesa cattolica romana e quella evangelica riformata, sono dette quindi ‘ufficiali’ e anche citate esplicitamente nelle costituzioni dei Cantoni, ad esempio dei Grigioni e del Ticino. Sono corporazioni di diritto pubblico e possono riscuotere l’imposta di culto, prelevata a livello comunale, ma non in ogni cantone. Le chiese “ufficiali” infatti godono di un trattamento più favorevole rispetto alle altre confessioni religiose presenti sul territorio, siano esse recenti quali l’Islam o il buddismo o più antiche quali l’ebraismo. Per comprendere questa peculiare situazione va rammentato che ben due referendum di iniziativa popolare (federale nel 1990 e nel Canton Zurigo nel 1995) diretti a stabilire il principio di separazione tra Stato e chiese, con l’effetto quindi di riallineare tutte le confessioni religiose alla medesima distanza dallo Stato, sono stati bocciati dai votanti, così come il più recente e noto referendum per abolire il divieto di costruire minareti, contenuto nella Costituzione, come di modificare l’Inno nazionale, cosiddetto Salmo Svizzero. Per tradizione consolidata, resa manifesta e condensata nella croce posta sulla bandiera nazionale, il cristianesimo è parte della storia della Confederazione, pur se declinato diversamente.

Il diverso trattamento delle comunità religiose può portare ad un conflitto tra il diritto federale ed il diritto cantonale, in quanto la norma di principio di uguaglianza nel diritto è radicato nella Costituzione federale, mentre i concreti riconoscimenti sono enunciati, in regola generale, nelle Costituzioni cantonali. 

La Chiesa Cattolica nella Confederazione Elvetica è composta da sei Diocesi, senza ArciDiocesi, quindi direttamente soggette alla Santa Sede.

La peculiarità del cattolicesimo svizzero è quindi data dalla chiese cantonali che non coincidono con le diocesi ed anzi possono entrare anche in contrasto con esse. A livello locale è attivo il consiglio parrocchiale, che presenta una differenza fondamentale con il Consiglio per gli affari economici della parrocchia presente in Italia. Infatti non è nominato né presieduto dal parroco, ed è un organo elettivo. Questa struttura è speculare in parte all’ordinamento civile e in parte all’organizzazione della Chiesa evangelica, per poter avere pari peso nel rapporto con le autorità, utilizzando una struttura che presenta le medesime caratteristiche.

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Nella Confederazione Elvetica non vi è un concetto pacifico di univoco riconoscimento di diritto pubblico delle comunità religiose, in quanto la Costituzione Federale delega interamente ai Cantoni di regolamentare le relazioni tra lo Stato e le istituzioni. La regolamentazione dei rapporti tra le comunità religiose o le Chiese e lo Stato è di competenza, quindi, dei singoli Cantoni. Questo significa che in Svizzera esistono su questa questione, 26 approcci diversi e 26 risposte diverse.

Ogni Cantone ha definito i rapporti tra comunità religiose e Stato o nella propria Costituzione o in apposite leggi in base alla sua specifica storia. Si va dalla separazione assoluta tra Stato e Chiesa (Ginevra e Neuchâtel), fino al riconoscimento di una Chiesa di stato (ad es. Zurigo). Il riconoscimento di diritto pubblico è previsto in sedici cantoni, mentre sei cantoni prevedono un riconoscimento di diritto privato di altre comunità religiose o lo permettono accanto al riconoscimento di diritto pubblico (ciò che spiega la molteplicità presente nella lista. Infine altri cantoni non hanno formulato disposizioni atte al riconoscimento. Resta ancora da sottolineare che per le confessioni religiose vi è l’obbligo di avere un’organizzazione democratica ai fini del riconoscimento. La comunità religiosa è tenuta a riconoscere l’ordine legale dello Stato, delle altre religioni ad a partecipare alla risoluzione dei problemi. Lo strumento del riconoscimento di diritto pubblico comporta quindi il coinvolgimento delle comunità religiose all’interno dello Stato di diritto democratico e organizzato in maniera federale. 

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Per quanto attiene la recente situazione causata dal coronavirus, anche nella Confederazione Elvetica sono stati posti divieti alla libera circolazione delle persone, alla stregua di quanto si è fatto nella Repubblica Italiana, e conseguentemente è stata limitata anche la partecipazione alle Messe, con provvedimento del Consiglio Federale, che ha disposto la ripresa delle Messe con il popolo solo dopo l’8 giugno 2020.

In vista di questa ripresa, le varie Diocesi si sono quindi rapportate con le autorità Cantonali anche per discutere il progetto di un piano di misure in vista del ripristino delle funzioni religiose.

In particolare la Curia di Lugano ha elaborato e proposto le seguenti misure per adeguare spazi e accessi di ogni oratorio e chiesa aperti al pubblico: 

  1. «I responsabili stabiliscano la capienza massima di persone, tenendo conto che a ogni fedele dovrà essere garantito uno spazio (intercalato tra le file di banchi o sedie) di 4 m², in ogni caso non più di 1/3 della capienza massima normale. I nuclei familiari non vanno separati».
  2. «I posti a sedere disponibili devono essere predisposti e indicati chiaramente».
  3. «Vanno tolti tutti i sussidi per i fedeli (libretti di canto ecc.)».
  4. “Agli ingressi deve essere costantemente disponibile del liquido disinfettante per la pulizia delle mani».
  5.  »Agli ingressi vanno collocati in modo evidente i cartelli dell’Ufficio federale della sanità pubblica». 
  6. «Tutte le superfici e i punti di contatto andranno regolarmente sanificati».
  7. «Per questioni relative alle opere d’arte, si prenda contatto con la Commissione diocesana per l’Arte sacra».

Quindi indicazioni concretamente svizzere.

Fonti consultate: UST . Ufficio Federale Svizzero di Statistica; Diocesi Lugano; RTSI; FSM – Fondo Svizzero per lo studio delle Migrazioni e CFR – Commissione Federale contro il Razzismo.

Spunti di diritto comparato: libertà religiosa al tempo della pandemia in Gran Bretagna

Avv. Isabella Albertini

La Gran Bretagna ha affrontato con un ritardo di circa 15 giorni rispetto all’Italia la situazione di emergenza derivante dall’epidemia di Covid 19.

Addirittura, il primo ministro Boris Jhonson ai primi di marzo, riferisce con una eccessiva sicurezza, che ancora era possibile stringere la mano a tutti.

Tuttavia, in data 12 marzo, lo stesso primo ministro ammette che l’epidemia di Covid 19 è senza precedenti, ovvero è: “La peggiore crisi da una generazione “ 

La sua onestà è tale da arrivare ad affermare in uno dei suoi discorsi in maniera molto dura ai cittadini inglesi che: “Molte famiglie perderanno dei cari prima del tempo

Tuttavia, nessuna misura viene applicata, solo si ripete la necessità di lavarsi le mani con cura.

Sulla stessa linea anche il consigliere scientifico dell’esecutivo evoca in un’intervista l’ipotesi di una diffusione “mitigata “ del virus per sperare di arrivare ad una forma di immunità collettiva 

(c.d. “di gregge”) lasciando così immaginare, in un primo momento, una strategia alternativa al lockdown.

Tuttavia, Boris Jhonson, preso atto delle previsioni catastrofiche tracciate da uno studio statistico di Londra circa le molte vittime prevedibili in assenza di lockdown, in data 16 marzo annuncia la svolta, raccomandando lo stop a qualunque contatto sociale non essenziale e il lavoro a distanza. La chiusura di scuole, palestre, pub, cinema, musei scatta, di lì a breve, ovvero il 20 marzo.

Restano aperte solo le attività essenziali e si potrà quindi uscire solo per lavoro, spesa, portare a spasso il cane: il lockdown diviene generale in data 23 marzo.

Se è vero che la chiusura in Inghilterra ha tardato a scattare, è altrettanto vero che i britannici erano mentalmente preparati a quanto sarebbe accaduto, complice anche l’esperienza italiana a cui hanno guardato.

Da subito infatti si sono auto-isolati ed hanno attivato lo smart working. 

Per quanto concerne il settore religioso, la chiesa britannica viene definita Anglicana dopo la separazione dalla Chiesa Cattolica romana nel XVI secolo; essa si concreta in una forma mitigata di protestantesimo ed in buona sostanza nega l’autorità del Sommo Pontefice, in quanto a capo della chiesa rimane la dinastia reale inglese.

La Conferenza episcopale di Inghilterra ha concordato in data 20 marzo la sospensione di tutte le liturgie pubbliche; le messe così sono state sospese e sono state celebrate in assenza di fedeli.

Sui citi delle singole diocesi sono ancora oggi trasmesse le celebrazioni in streaming in modo che i fedeli possano partecipare da casa.

Sono stati sospesi o posticipati anche tutti i battesimi, le prime comunioni le cresime e i matrimoni.

Riguardo invece all’unzione degli infermi, vien dispensata utilizzando un batufolo di cotone che deve essere successivamente bruciato. 

In data 27 marzo arriva la notizia shock: anche il premier Boris Jhonson si dichiara positivo al test del Covid 19.

Inizialmente i sintomi vengono dichiarati lievi e il premier si limita ad isolarsi a casa, indirizzandosi al Paese via video. Durante la giornata del 5 aprile (giorno in cui anche la regina Elisabetta tiene il suo discorso alla Nazione) viene reso noto l’improvviso ricovero del Premier al e il giorno dopo il trasferimento in terapia intensiva, causa aggravamento respiratorio.

Il discorso che la Regina rivolge ai sudditi ha valore essenzialmente di incoraggiamento: “Se rimarremo uniti ce la faremo“ Elisabetta ricordandosi così del suo primo discorso (radiofonico) che fece alla Nazione, aiutata dalla sorella Margaret nell’anno 1940. È il quarto discorso che la regina rivolge alla Nazione in 68 anni di Regno.

Solo in data 12 aprile il premier viene dimesso, e confessa di essere stato per un paio di giorni in bilico fra la vita e la morte, cogliendo anche l’occasione per ringraziare medici e infermieri.

Prima dell’avvio della fase 2 sono stati fatti i bilanci sui decessi in Gran Bretagna, che ha ottenuto il triste primato del primo Paese in Europa con maggior numero di decessi per coronavirus, circa 40.000,00 morti. 

Di questi giorni è l’avvio della Fase 2, suddivisa a sua volta in tre fasi, la prima in corrispondenza della metà di maggio, la seconda in giugno e l’ultima in luglio. 

Si tratta di una riapertura cauta e graduale, unitamente alla solita raccomandazione di utilizzare la mascherina negli spazi chiusi condivisi con altre persone, quali i mezzi pubblici e luoghi di lavoro.

In data 13 maggio si è dato avvio alla prima tappa di questa seconda fase, e, pur in presenza dell’obbligo della distanza sociale, sono state apportate alcune modifiche rispetto alla fase di chiusura precedente: viene sollecitata la ripresa del lavoro per chi può senza utilizzo di mezzi pubblici, via libera anche all’esercizio fisico all’aperto, e viene data ai cittadini la possibilità di incontrare una persona estranea al gruppo familiare con la possibilità di riunirsi fino a sei persone.

La seconda tappa scatta il 1 giugno e prevede la riapertura delle scuole del primo ciclo ed ultimo ciclo, oltre all’apertura di alcuni negozi, eventi culturali e sportivi a porte chiuse.

Anche in Inghilterra è previsto obbligo di due settimane di quarantena per chiunque arrivi dall’estero.

La terza tappa della seconda fase è fissata per il 4 luglio ed allora si potranno riaprire pub e ristoranti, con l’auspicio che i contagi come i decessi si mantengano stabilmente in diminuzione.

Circa gli accordi fra governo inglese e Chiesa, si rammenta che in data 6 luglio 2013 è stato firmato un accordo storico tra governo inglese e Chiesa anglicana: il ministro dell’educazione inglese Gove ha sottoscritto un patto per permettere alla Chiesa Anglicana di dirigere le scuole statali.

Gove ha giustificato così:” La Chiesa fa un lavoro stupendo per innalzare gli standard educativi del Paese e fornire ai ragazzi un ambiente sicuro ed amorevole; io però vorrei di più. Mi piacerebbe che aiutasse le scuole a raggiungere l’eccellenza“

Spunti di diritto comparato: libertà religiosa al tempo della pandemia in Francia

Dell’Avv. Paola Mescoli

Fino agli inizi del Novecento in Francia fu in vigore il concordato firmato da Pio VII e da Napoleone nel 1801. Con una legge del 1905, grazie ad una coalizione delle forze massoniche, anticlericali e socialiste, esso fu abrogato e fu realizzata una completa separazione tra Chiesa e Stato in forme ostili alla Chiesa. L’abrogazione infatti fu un atto unilaterale, preceduto dalla rottura delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede; tale atto, in base al principio della libertà di coscienza, parificava tutte le confessioni religiose e le riconosceva come realtà interne allo Stato e a lui integralmente sottoposte. Ciò comportò la soppressione di tutte le scuole cattoliche e la confisca di tutti i beni mobili e immobili della Chiesa, quindi di tutti i luoghi di culto, le cattedrali, i seminari i vescovadi… ed anche i quadri ed i libri. L’intenzione del legislatore era che sorgessero delle associazioni cattoliche laiche alle quali potesse essere affidata la gestioni di tali beni (e le relative spese di gestione), ma poiché si voleva che queste fossero svincolate dalla dipendenza dai vescovi diocesani e rispondenti allo stato, furono aspramente combattute da Pio X che condusse una dura lotta contro tutto questo processo di secolarizzazione della Francia. Durante i lavori per il censimento di tutti i beni mobili da confiscare, avendo il Governo dichiarato che i gendarmi avrebbero imposto l’apertura anche dei tabernacoli, ci furono addirittura alcuni morti. Solo dopo la prima guerra mondiale, che col suo sforzo di unità nazionale aveva distolto l’attenzione da una divisione così profonda, si ebbero i primi atti di conciliazione e nel 1924 Pio XI accettò l’istituzione di associazioni diocesane laicali in dipendenza dai Vescovi e ristabilì le relazioni diplomatiche.

Tale processo avanza più coi fatti concreti che sul piano del diritto, sia per la collaborazione di fatto esistente oggi, sia per alcuni episodi che sembrano intaccare la legge del 1905, come alcune elargizioni fatte da enti pubblici o dallo stato a realtà islamiche (ad es. la donazione dei terreni per la moschea di Parigi). 

Quest’anno, a seguito della epidemia di coronavirus, dal 17 marzo è entrato in vigore un ‘lock down’ molto simile a quello italiano, le cui misure non portano una scadenza, essendo destinate a rimanere in vigore fino “a nuovo avviso”.

Purtroppo le norme in relazione alla situazione delle celebrazioni liturgiche nelle chiese sono confuse e contraddittorie.

Lo stesso giorno del lock down l’arcivescovo Eric de Moulins-Beaufort, presidente della Conferenza Episcopale Francese, emanava alcune raccomandazioni nell’ottica della solidarietà nazionale, specificando che nessuna messa pubblica poteva essere celebrata, ma potevano essere celebrate quelle private. Venivano annullate tutte le iniziative che prevedevano una partecipazione di oltre 100 persone e cancellata l’assemblea plenaria dei vescovi che si sarebbe dovuta tenere a Lourdes dal 31 marzo al 3 aprile.

I fedeli erano sconcertati. Il problema giuridico si accentrava sul concetto di assembramento. La diocesi di Parigi non considerava come un assembramento una Messa celebrata in una chiesa chiusa, con un parroco e i concelebranti, mentre il ministero dell’Interno dichiarava che una cerimonia di culto è come un raduno organizzato”, per cui “un ufficio liturgico poteva essere celebrato da un ministro del culto, ma a porte chiuse”, e il ministro “poteva essere assistito da poche persone, se necessario e nel minor numero possibile, per procedere alla registrazione della cerimonia”. Quindi, secondo il governo francese, si poteva entrare nel luogo di culto, che però non poteva accogliere assembramenti di fedeli, con l’eccezione della celebrazione dei funerali, che potevano comportare l’accoglienza della famiglia stretta, entro il limite delle 20 persone.

In realtà, anche durante le settimane di confinamento più stringente, le chiese in Francia sono rimaste spesso aperte per momenti solitari di raccoglimento. Molte parrocchie hanno trasmesso la Messa domenicale, riservando a qualcuno la possibilità d’assistere fisicamente, ma questa situazione ha dato luogo a due episodi clamorosi. 

Il primo si è avuto il 19 aprile, quando tre poliziotti armati hanno fatto irruzione nella chiesa di Saint-André-de-l’Europedi Parigi per interrompere la celebrazione della Messa domenicale. Padre Phillippe de Maistre, il parroco, trasmetteva la Messa in diretta sui social network; a questa partecipavano sette persone: il sacerdote, un ministrante, il cantore, l’organista e tre parrocchiani per le letture e le risposte. L’’arcivescovo Michel Aupetit di Parigi, il 22 aprile, parlando su Radio Notre Dame, ha stigmatizzato l’evento: “La polizia è entrata armata in una chiesa dove vige rigorosamente il divieto per la polizia di entrare portando le armi. Non c’erano dei terroristi! Dobbiamo mantenere il sangue freddo e fermare questo circo persecutorio. Se è necessario urleremo e abbaieremo molto forte”. In effetti, in base alle leggi del 1905 e del 1907, che garantiscono la libertà di culto, la persona responsabile di un luogo di culto è l’unica responsabile della polizia nella sua chiesa, e la polizia può intervenire solo su richiesta espressa del parroco. L’unica eccezione è la minaccia dell’ordine pubblico, come specificato da un decreto del Consiglio di Stato francese del 1993. Pare che la polizia sia stata allertata da un vicino che ha sentito il suono dell’organo e ha denunciato una “Messa clandestina”. Per padre De Maistre, la situazione è chiara: “Stanno approfittando di questa crisi sanitaria per mettere in discussione la libertà di culto”.

Il secondo esempio riguarda la messa celebrata in modalità drive–in nella cittadina di Chalons-en-Champagne. I fedeli sono arrivati con le loro macchine e il vescovo Francois Touvet ha celebrato la Messa su un piccolo palco, davanti alle vetture.Le autoradio sono state sintonizzate sull’emittente Coeur de Champagne che ha trasmesso l’intera messa. Durante la cerimonia le persone sono rimaste nelle auto (con, al massimo, 4 persone dello stesso nucleo famigliare), provviste di mascherine e gel igienizzante. Nessuno poteva uscire dalle vetture, ma chi voleva la Comunione doveva accendere le luci di emergenzai sacerdoti hanno distribuito le ostie attraverso i finestrini abbassati. 

La situazione si è aggravata quando il governo francese ha disposto le regole per la fase due (che doveva iniziare l’11 maggio), dichiarando di fare delle scelte secondo un ordine di priorità che era in realtà un ordine di importanza. In tale ordine aveva dimenticato ”la libertà religiosa”, mantenendo, in particolare, il divieto totale di riti aperti ai fedeli negli edifici di qualsiasi culto che non erano inclusi nel piano di riapertura. 

I vescovi cattolici francesi, quando hanno visto che il governo riapriva sia pure progressivamente scuole esercizi pubblici ecc, ma non accennava alla riapertura delle chiese, hanno presentato un documento durissimo con un piano di riapertura che consentiva ai fedeli di partecipare nuovamente alla celebrazione dei sacramenti in chiesa e alla riapertura dei santuari, nel pieno rispetto dello “spirito di responsabilità sanitaria”.

Anche i deputati cattolici hanno protestato con veemenza e in proposito sono stati depositati vari ricorsi al Consiglio di Stato. Questo, con una decisione veramente clamorosa, del 19 maggio 2020 , ha fatto riferimento alla formula del decreto con le nuove misure di contenimento che in sintesi dice “le scuole sì, le elezioni comunali sì, i luoghi di culto no” e l’ha giudicata non accettabile; così ha concluso la sentenza affermando che «il divieto generale e assoluto è sproporzionato alla luce dell’obbiettivo di preservare la salute pubblica e costituisce pertanto, vista la natura essenziale di questa componente della libertà di culto, una violazione grave e manifestamente illegale di quest’ultima”. Per questo ha ordinato al governo Macron-Philippe di revocare il divieto ed ha imposto al governo 8 giorni di tempo per cancellare la chiusura

La Conferenza episcopale, soddisfatta per la decisione, ha fatto sapere di aver predisposto in merito e comunicato al governo un piano nazionale contenente misure di protezione e sicurezza per la riapertura delle chiese e la ripresa delle celebrazioni: “Condividiamo la preoccupazione del governo di limitare il più possibile la diffusione dell’epidemia, ma è difficile comprendere come la pratica ordinaria della Messa possa favorire la diffusione del virus e ostacolare le distanze di sicurezza rispetto a molte delle attività che riprenderanno presto. La dimensione spirituale e religiosa dell’essere umano – scrivono i vescovi – contribuisce, siamo convinti, alla pace dei cuori, alla forza nella prova, alla fraternità tra le persone e in tutta la vita sociale. La libertà di culto è un elemento fondamentale della vita democratica. Questo è il motivo per cui i vescovi desiderano incontrare le autorità pubbliche, nazionali e locali, per prepararsi all’effettiva ripresa del culto”. La nota infine assicura: “I cattolici hanno rispettato e rispetteranno le istruzioni del governo”. 

In realtà, anche se è possibile che gli effetti pratici dell’ordinanza siano circoscritti rispetto allo scenario in cui si inseriscono, dato che gli otto giorni indicati dal Consiglio di stato scadono il 27 maggio, l’ordinanza rappresenta in ogni caso una svolta giudiziaria d’importanza cruciale in un Paese in cui le relazioni fra autorità civili e rappresentanti religiosi sono non di rado al centro d’incomprensioni o tensioni, nella scia della dolorosa evoluzione storica di quella “laicità alla francese” sempre tanto controversa, oltre che poco compresa fuori dai confini transalpini.

Spunti di diritto comparato: libertà religiosa al tempo della pandemia in Norvegia

Dell’Avv. Federica Davoli e della Dott.ssa Elisa Pierfederici

La storia della Chiesa cattolica in Norvegia è vecchia quanto la storia dello stato. Portato nelle terre scandinave da missionari anglosassoni e poi germanici, il cattolicesimo venne dichiarato religione di stato dal santo re Olaf II di Norvegia nel 1030. Rimase tale fino alla riforma protestante, quando, in base al principio Cuius regio eius religio, Cristiano III di Danimarca, che aveva nel suo territorio anche l’attuale Norvegia, vi impose la religione luterana come religione di stato.

A partire dal 1526 il sovrano confiscò le proprietà della Chiesa e dei monasteri, i beni personali dei sacerdoti, che furono esiliati o incarcerati fino alla morte, ma la fede è sopravvissuta nonostante le severe punizioni previste per i cattolici. Alla Chiesa cattolica non fu permesso di operare in Norvegia fino al 1843, quando fu riconosciuta la libertà di culto. Vennero quindi riaperti i luoghi di culto e ritornarono gli ordini religiosi.

I paesi scandinavi – Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia – sono comunque in massima parte protestanti (la percentuale massima di cattolici è in Norvegia, dove sono solo il 5%) ed è per questo motivo che solo il primo marzo 1960 Papa Giovanni XXIII ha potuto costituire la delegazione apostolica in Scandinavia. Le Diocesi di Copenhagen, Stoccolma, Helsinki, Reykiavik e la Diocesi di Oslo con le Prelature territoriali di Tromso e Tronheim sono direttamente soggette alla Santa Sede.

La maggior parte dei cattolici nei paesi scandinavi, vari sacerdoti e alcuni vescovi sono di origine straniera, anche se di fatto ogni anno un centinaio di luterani, agnostici o lontani dalla fede chiede di passare alla chiesa cattolica. In Norvegia il 75% dei cattolici è nato in un altro stato e molte sono le celebrazioni in lingua straniera, prevalentemente in inglese quale lingua liturgica comune. I primi immigrati cattolici provenivano da Germania, Olanda e Francia; dagli anni ‘70 sono iniziate le immigrazioni da Cile, Filippine, Vietnam e Tamil. Solo dal 2008 sono arrivati in Norvegia molti migranti economici provenienti da Polonia, attualmente il più grande gruppo cattolico in Norvegia e Lituania.

Lo stato versa finanziamenti alle organizzazioni religiose (e quindi anche alle diocesi cattoliche) in base al numero dei cittadini che liberamente vi si iscrivono. 

In questi ultimi mesi la Chiesa cattolica norvegese, di fronte all’emergenza coronavirus, ha adottato le stesse misure dell’Italia, ovvero sospensione delle celebrazioni pubbliche fino al 10 di maggio; successivamente è stato adottato un sistema di prenotazione per poter partecipare alle Messe e ciò al fine di evitare affollamento. Il tutto è seguito da dei volontari, che però devono fare un piccolo corso di preparazione al fine di garantire la massima sicurezza sanitaria.

Dal 10 maggio fino a 50 persone possono assistere a battesimi, funerali e matrimoni, ma non tutte le chiese sono state riaperte e lo Stato ha supportato la diffusione delle celebrazioni on line, offerta digitale che continuerà anche nei prossimi mesi.

Il leader dell’Associazione norvegese della chiesa, Oddbjørn Eide, ha affermato “Molti, incluso noi, non vedono l’ora di aprire altre chiese. Ma prima, dipendenti e volontari devono essere formati e costruire una buona collaborazione sul controllo delle infezioni. Pertanto, si verificherà un’apertura graduale man mano che avremo le misure necessarie nella singola chiesa”.

Esiste un sito Billetter til gudstjenester che letteralmente significa “biglietti per la religione” attraverso il quale si può prenotare sia la partecipazione alle Messe che ai momenti di adorazione eucaristica, molto diffusi qui in Norvegia.

Spunti di diritto comparato: libertà religiosa al tempo della pandemia in Spagna

Della Dott.ssa Rossella Iandoli

Il Concordato del 1953, firmato il 27 agosto dalla Spagna di Francisco Franco con il Vaticano (sotto il pontificato di Papa Pio XII) fu fatto principalmente per spezzare l’isolamento internazionale spagnolo dopo la seconda guerra mondiale. Il Concordato diede alla Chiesa cattolica in Spagna una serie di privilegi come: finanziamenti statali; esenzioni dalla tassazione del governo; matrimoni canonici per tutti i cattolici; sussidi per nuove costruzioni edili; censura dei materiali ritenuti offensivi dalla chiesa; diritto di istituire università; diritto di gestire stazioni radio e pubblicare giornali e riviste; protezione dall’intrusione della polizia nelle proprietà della chiesa; esenzione del clero dal servizio militare.

Con la morte di Franco nel 1975 e la successiva transizione della Spagna verso la democrazia, il Concordato fu cambiato e modificato nel 1976 con una convenzione che abolì il diritto di nominare i vescovi per il capo di stato spagnolo. Nel 1978, la nuova monarchia costituzionale democratica, che portò alla fine della dittatura, stabilì il principio di neutralità religiosa (aconfesionalidad) dello stato spagnolo e la completa libertà di religione per i suoi cittadini. Nel 1979, un’altra convenzione tra governo spagnolo e Santa Sede cambiò la legge relativa agli aspetti finanziari e ai sussidi pubblici per la chiesa cattolica. 

In questi mesi di chiusura totale per la pandemia in corso, anche il governo socialista di Pedro Sanchez ha emanato un decreto che ha proibito dal 14 marzo 2020 la celebrazione delle funzioni religiose con la presenza dei fedeli, allo scopo di tutelare la popolazione dalla diffusione del nuovo Coronavirus. Non sono mancati, come sul nostro territorio italiano, episodi in cui la polizia facesse irruzione durante la Santa Messa, interrompendo bruscamente la funzione e talvolta anche irrogando una sanzione amministrativa. Anche nelle diocesi spagnole ci si è organizzati con tutti i mezzi di comunicazione a disposizione per offrire ai fedeli il servizio liturgico con streaming, videomessaggi e celebrazioni mandate in onda sulle reti nazionali e locali. La voglia dei fedeli di partecipare di persona all’Eucarestia è tanta, al punto che molti hanno inviato richieste espresse al presidente della Conferenza Episcopale spagnola, Juan Osè Omella, il quale ha assicurato che avrebbe lavorato con l’esecutivo per ripristinare le Messe.

Il 9 maggio sono state pubblicate sul BOE (gazzetta ufficiale spagnola) le disposizioni relative alla riapertura dei luoghi di culto. All’art 9 dell’Ordine SND / 399/2020 figurano le seguenti modalità:

– La presenza nei luoghi di culto è consentita, ma a due condizioni: da un lato, che non superi un terzo della sua capacità e, dall’altro, il rispetto delle misure generali di sicurezza e igiene stabilite dalle autorità sanitarie.

– Il contatto fisico dovrebbe essere evitato, con un metro di distanza tra la persona e il sedile, oltre a non poter “toccare o baciare oggetti di devozione o altri oggetti che vengono di solito gestiti”. Non ci saranno anche esibizioni di cori.

– L’uso di una mascherina è generalmente raccomandato.

– L’uso di acqua benedetta non è consentito nei luoghi di culto, come mezzo per prevenire l’infezione da coronavirus.

– Non è consentita la distribuzione di fogli parrocchiali o brochure di alcun tipo.

(Segue il dispositivo integrale della normativa predetta) 

Art. 9

1. La partecipazione ai luoghi di culto sarà consentita a condizione che non superi un terzo della sua capacità e che siano rispettate le misure generali di sicurezza e di igiene stabilite dalle autorità sanitarie.

2. Se la capacità massima non è chiaramente definita, per il calcolo possono essere utilizzati i seguenti standard:

a) Spazi con sedili individuali: una persona per posto, la distanza minima di un metro deve essere rispettata in ogni caso.

b) Spazi con sponde: una persona per ogni metro lineare di sponda.

c) Spazi senza posti: una persona per metro quadrato di superficie riservata ai partecipanti.

d) Per tale calcolo, verrà preso in considerazione lo spazio riservato ai partecipanti, esclusi i corridoi, le sale, il posto della presidenza e dei collaterali, i cortili e, se del caso, i servizi igienici.

Una volta determinato il terzo della capacità disponibile, verrà mantenuta la distanza di sicurezza di almeno un metro tra le persone. La capacità massima deve essere pubblicata in un luogo visibile nello spazio per il culto.

L’esterno degli edifici e la via pubblica non possono essere utilizzati per la celebrazione di atti di culto.

3. Fatte salve le raccomandazioni di ciascuna confessione che tengono conto delle condizioni dell’esercizio di adorazione proprie di ciascuna di esse, in generale devono essere osservate le seguenti raccomandazioni:

a) Uso della mascherina in generale.

b) Prima di ogni incontro o celebrazione, le attività di disinfezione devono essere eseguite negli spazi utilizzati o da utilizzare e durante lo sviluppo delle attività, la disinfezione degli oggetti che vengono toccati più frequentemente verrà ripetuta.

c) Le entrate e le uscite saranno organizzate per evitare gruppi di persone negli ingressi e nei dintorni dei luoghi di culto.

d) I distributori di gel idroalcolici o disinfettanti con attività virucida autorizzati e registrati dal Ministero della Salute saranno messi a disposizione del pubblico, in ogni caso all’ingresso del luogo di culto, che deve sempre essere in condizioni d’uso.

e) Non è consentito l’uso di acqua benedetta e le abluzioni rituali devono essere eseguite a casa.

f) La distribuzione dei partecipanti sarà facilitata all’interno dei luoghi di culto, indicando se necessario i posti o le aree utilizzabili a seconda della capacità consentita in qualsiasi momento.

g) Nei casi in cui i partecipanti si fermano direttamente a terra e si tolgono le scarpe prima di entrare nel luogo di culto, verranno utilizzati tappeti personali e le calzature verranno collocate nei luoghi previsti, insaccate e separate.

h) La durata degli incontri o delle celebrazioni sarà limitata al più breve tempo possibile.

i) Nel corso di riunioni o celebrazioni, si eviteranno:

1. Contatto personale, mantenendo sempre la distanza di sicurezza.

2. La distribuzione di qualsiasi tipo di oggetto, libri o brochure.

3. Toccare o baciare oggetti di devozione o altri oggetti che di solito vengono gestiti.

4. Esibizione di cori.

Fonti utilizzate: 

Concordato Spagna Santa Sede:

https://www.vatican.va/roman_curia/secretariat_state/archivio/documents/rc_seg-st_19530827_concordato-spagna_it.html

Sito Ufficiale Boletìn Oficial del Estado per l’Orden SND/399/20

https://www.boe.es/eli/es/o/2020/05/09/snd399

https://www.avvenire.it/mondo/pagine/numero-chiuso-e-fedeli-distanziati-cos-le-messe-dalleuropa-agli-states

Spunti di diritto comparato: libertà religiosa al tempo della pandemia nelle Repubbliche Baltiche

Abstract

Avv. Matteo Fortelli
Dell’avv. Matteo Fortelli

L’Estonia è un Paese a grande maggioranza agnostica. Fra le confessioni praticate, preponderante è la componente luterana, in netta minoranza la cattolica (l’attuale è il secondo Vescovo di Tallin dai tempi di Lutero) ed ortodossa.

Vi è un “Consiglio delle Chiese Estoni”, composto dai rappresentanti delle confessioni cristiane, con cui il Governo ha condiviso il protocollo COVID. Se le funzioni pubbliche sono state sospese, nondimeno, in privato, i riti hanno potuto continuare ad essere celebrati. Il protocollo specificava che “anche in caso di emergenza, lo stato garantisce la libertà religiosa dei suoi cittadini e di tutto il popolo estone”.

La Lettonia ha inizialmente proibito eventi e assemblee pubbliche con la presenza di più di 200 persone. Successivamente, le celebrazioni sono state limitate a 50 persone, infine il divieto è stato generalizzato a tutti gli eventi, pubblici e privati. Unica eccezione i funerali, da celebrarsi all’aperto, nei cimiteri, e con la regola del distanziamento di due metri; disposizione poi estesa anche ai battesimi in pericolo di morte. 

In Lituania, paese cattolico, vigono vari accordi tra Stato e Chiesa. Quello che concerne, in particolare, i “rapporti giuridici” prevede che misure di sicurezza nei luoghi di culto, per salvaguardare la salute e la vita umana, possano essere assunte dallo Stato solo su richiesta dell’Autorità ecclesiastica.

Con l’inizio della quarantena, è stata direttamente la Conferenza Episcopale Lituana a disporre la sospensione delle celebrazioni pubbliche, con l’eccezione dei funerali, ma solo all’aperto e limitando la presenza ai parenti stretti. I matrimoni potevano essere celebrati alla presenza di massimo due testimoni. Espressamente consentiti i battesimi in pericolo di morte.

I Vescovi lituani hanno fatto suonare tutte le sere le campane delle Chiese dell’intero Paese alle ore 20, invitando le famiglie a pregare concordemente. “È il modo di sentirci uniti con il Signore e fra noi”.

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ESTONIA

La Repubblica Estone ha limitato le attività pubbliche in ragione del Coronavirus dalla metà di Marzo a circa la metà di Maggio.

Sul sito del Governo estone sono stati pubblicati, distinti per ogni tipologia ed ambito (sport, scuola, cultura, cinema…), i calendari per la progressiva riapertura delle attività. Per garantire l’accesso ai luoghi pubblici (negozi, uffici, ecc…) il Primo Ministro estone ha introdotto la regola del 2+2: le persone possono accedervi sole o in coppia, mantenendo almeno due metri di distanza dagli altri avventori, anch’essi soli o in coppia. Le famiglie conviventi sono esentate dal distanziamento 2+2.

Per quanto attiene alle funzioni religiose, il Governo ha condiviso il relativo protocollo, denominato “Attività delle associazioni religiose in caso di emergenza”, con il Consiglio delle Chiese estoni, organismo che ricomprende i rappresentanti di tutte le Chiese cristiane di Estonia, in particolare le maggioritarie, ossia luterana, cattolica e ortodossa. In Estonia vi è una prevalenza decisamente luterana: l’attuale Vescovo cattolico di Tallin è il secondo Vescovo cattolico dallo scisma di Lutero; esiste un breve Concordato sottoscritto nel 1999, considerato dalla Conferenza Episcopale Europea un “risultato eccezionale”. In ogni caso, l’80% della popolazione si considera atea o agnostica.

Il protocollo prevedeva la sospensione di tutte le riunioni di tipo pubblico: “Poiché lo scopo di proibire le riunioni è prevenire e scoraggiare la diffusione del coronavirus, le restrizioni si estendono anche ai servizi di adorazione e ad altre riunioni simili”. In particolare, si disponeva che “tutti gli eventi religiosi pubblici organizzati, incluso il culto pubblico, i concerti nelle chiese e altri incontri, devono essere rinviati o cancellati fino a nuove istruzioni”.

Il documento conteneva tuttavia l’importante specificazione che “anche in caso di emergenza, lo stato garantisce la libertà religiosa dei suoi cittadini e di tutto il popolo estone, tenendo conto delle considerazioni sulla salute umana”.

Di conseguenza, le Chiese sono rimaste aperte, e il protocollo consentiva che i servizi religiosi, fra cui anche la distribuzione della comunione, fossero garantiti in forma privata: “continueranno a essere condotti servizi religiosi privati, tra cui conversazioni pastorali, adorazione e comunione e altre attività basate sulle specificità della rispettiva comunità religiosa”, sempre purché “organizzate in modo tale da escludere il rischio di infezione da altre persone”. I funerali sono stati autorizzati, in via d’eccezione, per tutto il periodo, purché con pochi parenti e rispettando il distanziamento 2+2.

Uno dei maggiori esponenti del protestantesimo estone, il Reverendo Ove Sander, Presidente dell’Istituto Nazionale di Teologia della Chiesa Luterana ed Evangelica Estone, ha così commentato le disposizioni: “Il principio che, nonostante le restrizioni e i divieti dei tempi difficili, nessuno è lasciato senza servizio spirituale, perché «lo stato garantisce la libertà religiosa dei suoi cittadini e di tutto il popolo estone» è estremamente importante e ne siamo profondamente riconoscenti”.

LETTONIA

La Lettonia ha adottato la legislazione emergenziale dal 12 marzo al 12 aprile, poi estesa al 12 maggio. La Costituzione lettone prevede che il Governo possa dichiarare lo stato di emergenza per non oltre tre mesi e con solo un rinnovo, autorizzato dal Parlamento. Il Parlamento lettone, nell’Aprile, ha votato la possibilità di disporre più rinnovi, in quanto ritenuto preferibile, sul piano della proporzionalità, consentire l’effettuazione di più proroghe ma per periodi inferiori ai tre mesi.

La legge in situazione di emergenza consente al Governo l’introduzione di restrizioni alle libertà di movimento, di riunione ed alle attività economiche.

Inizialmente, il governo ha proibito eventi e assemblee pubbliche con la presenza di più di 200 persone. Successivamente, le celebrazioni sono state dapprima limitate a 50 persone, e, dal 29 marzo, il divieto è stato generalizzato a tutti gli eventi, pubblici e privati. Unica eccezione, i funerali, da celebrarsi comunque all’aperto, nei cimiteri, e con la regola del distanziamento di due metri. L’eccezione è stata successivamente estesa anche ai battesimi in casi urgenti. 

La regola dei due metri è diventata obbligatoria per l’accesso a tutti gli spazi pubblici.

La libertà di movimento è stata limitata solo per tre categorie di persone: chi arrivava dall’estero, ma non i lavoratori provenienti dalle altre due Repubbliche Baltiche, a meno di presenza di evidenti sintomi da Covid; chi era rimasto a contatto con gli infetti e gli infetti stessi. Per questi ultimi vi era l’obbligo assoluto di quarantena, fino al ricovero; per le prime due categorie solo di isolamento per 14 giorni. La polizia era autorizzata a ricercare infetti e chi fosse con loro venuto a contatto, per imporre le quarantene.

LITUANIA

La Lituania è un Paese a grande maggioranza cattolica. A seguito del Concordato del 1927, annullato nel periodo di dominazione sovietica, sono stati ora sottoscritti tre Accordi parziali, nel Maggio 2000.

L’Accordo che concerne, in particolare, i rapporti giuridici tra Stato lituano e Chiesa cattolica prevede che misure di sicurezza nei luoghi di culto, per salvaguardare la salute e la vita umana, possano essere assunte dallo Stato solo su richiesta dell’Autorità ecclesiastica. In casi di assoluta necessità, tassativamente indicati, può provvedervi direttamente il potere civile, ma l’Autorità ecclesiastica dev’esserne comunque informata.

A seguito della dichiarazione, da parte del Governo, dell’inizio della quarantena il 16 marzo, è stata direttamente la Conferenza Episcopale Lituana a disporre la sospensione delle celebrazioni pubbliche. La celebrazione dei funerali è stata sempre consentita, ma solo all’aperto, nei cimiteri, e con la presenza dei soli stretti parenti del defunto. Si è suggerito di rinviare matrimoni e battesimi, anche se i primi potevano comunque essere celebrati alla presenza dei soli sposi e di due testimoni. Sono stati espressamente consentiti i battesimi in pericolo di morte.

I Vescovi lituani hanno fatto suonare tutte le sere le campane delle Chiese dell’intero Paese alle ore 20, invitando in particolare le famiglie a pregare concordemente San Giuseppe. “È il modo – ha detto la Conferenza Episcopale – di sentirci uniti con il Signore e fra noi”.

La Conferenza Episcopale ha deciso la ripresa delle celebrazioni pubbliche già dal 24 aprile, ad esclusione della Messa domenicale, emanando linee guida per la partecipazione: obbligo di mascherine sul viso, con la sola eccezione del celebrante; distanza di sicurezza tra i fedeli, con uno spazio previsto di 10 metri quadrati a persona; comunione solo sulla mano; sanificazione preventiva e divieto di accesso ai sintomatici.
Prevista anche la possibilità, in caso di raggiungimento della capienza massima dell’edificio di culto, di partecipare all’esterno, con una distanza di 2 metri. La comunione, in tal caso, viene distribuita prima all’interno della chiesa, poi ai fedeli all’esterno, sempre dovendo essere il sacerdote a raggiungere i fedeli.

La Lituania sta attuando un progressivo piano di riapertura delle attività, estendendo, secondo diversi step, gli orari di apertura dei locali, il numero di persone ammesse agli eventi pubblici, i soggetti coinvolti in attività sportive, eccetera.