COVID-19 e padri separati

dell’avv. Paola Mescoli

In questo periodo di segregazione cosa è avvenuto dei figli dei separati, stante l’obbligo di non muoversi da casa se non per comprovate esigenze di lavoro, salute, necessità? Fra quali degli spostamenti autorizzati si poteva collocare la tutela del rapporto tra genitore non collocatario e figli? Il diritto del genitore a visitare e tenere con sé il figlio doveva (o deve?) prevalere rispetto al diritto alla salute non solo del figlio, ma anche degli altri famigliari o parenti e della collettività?

La risposta del Governo è stata superficiale, lacunosa e contraddittoria, dando adito alle più diverse e contrapposte decisioni, lasciate alla libera interpretazione dei legali, delle forze dell’ordine ed in ultima battuta dei Tribunali, le cui decisioni sono state di gran lunga inferiori alle liti che vi sono state ed agli interventi delle stesse forze dell’ordine interpellate dall’uno o dall’altro dei genitori.

Ma anche le decisioni dei Tribunali sono state variegate e non uniformi.

Agli inizi sono state più favorevoli a garantire l’esecuzione dei provvedimenti giudiziari di separazione e divorzio esistenti, senza prendere in considerazione il rischio di contagio determinato dalle condizioni di salute, di lavoro ed ambientali del genitore non collocatario; la tutela della bigenitorialità doveva prevalere sulla tutela alla salute, come se le precauzioni richieste al resto della collettività dovessero essere obliterate di fronte all’affermazione dei diritti della genitorialità.

Poi, mano a mano che il contagio aumentava, le decisioni dei Tribunali sono diventate più caute e più restrittive e nel conflitto fra tutela della salute e tutela dell’esercizio della genitorialità si è cominciato a privilegiare la tutela della salute in quanto diritto di valenza costituzionale, che deve prevalere anche sulla esecuzione dei provvedimenti giudiziari (d’altronde subordinati nella gerarchia delle fonti).

In realtà i problemi interpretativi sono nati dalla poca chiarezza dei DPCM, che ogni volta avevano necessità di circolari esplicative, creando ulteriori confusioni. Da qui decisioni giudiziarie non uniformi.

Si è cominciato col DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) del 9 marzo 2020, che nulla disse in merito e il giorno dopo, alle domande immediate di genitori e legali, rispose con l’art. 13 nelle FAQ, disponendo che “gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore … sono consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione e divorzio“.

Quindi parve che il Governo decidesse che il diritto del genitore all’esercizio della bigenitorialità fosse superiore al diritto alla salute del figlio e della collettività.

Tale scelta però, per come formulata, determinò subito due problemi, fra i tanti: nei casi in cui non erano ancora stati pronunciati i provvedimenti e non vi era alcuna regolamentazione, come poteva il genitore non collocatario documentare la sua uscita di casa per visitare e prendere con sé il figlio?

Il suo diritto all’esercizio della paternità era inferiore a quello del padre separato con provvedimento di regolamentazione del suo diritto?

Come ci si regolava per i figli non matrimoniali per i quali non vi era stato tecnicamente alcun provvedimento di separazione o divorzio dei genitori? Infatti la procedura per la cessazione della convivenza è diversa.

Fu il Tribunale di Milano, conformandosi alle espressioni formali del decreto governativo, che subito, in data 11 marzo, affermò il principio che nessuna “chiusura” poteva giustificare violazioni dei provvedimenti di separazione o divorzio, in quanto il rispetto degli accordi presi sul tempo da passare con i figli è più vincolante delle direttive sull’isolamento.

Questa decisione creò subito problemi di disparità di trattamento con i genitori non separati, che dopo il 22.03.2020, svolgendo un lavoro o un’attività in un comune diverso dal luogo di abitazione o domicilio, non potevano fare rientro a casa e quindi non potevano vedere e stare con i loro figli che lì abitavano convivendo con loronon avendo provvedimentida esibire a chi li fermava. 

Successivamente si è avuto il DCPM 22 marzo, che vietò gli spostamenti da comune a comune, limitandoli a motivi di lavoro, salute ed assoluta urgenza ed eliminando le “situazioni di necessità”. Da lì iniziarono provvedimenti antitetici: chi riteneva che si creassero situazioni di disparità di trattamento fra figli di genitori residenti nello stesso comune e figli i cui genitori risiedevano in comuni diversi, anche se limitrofi, chi riteneva che dovessero ritenersi vietati tutti gli spostamenti dei figli da comune a comune, non sussistendo alcuna previsione che li autorizzasse, chi inseriva le visite ai figli fra “i motivi di salute” (nell’ambito della tutela dell’equilibrio psicofisico del minore).

Gli avvocati dei grandi tribunali cercarono di darsi rapidamente un protocollo o linee guida per orientare i propri assistiti nella più grande incertezza governativa e giudiziaria

Il primo aprile, sul sito istituzionale all’interno delle FAQ, vide la luce il “criterio del buon senso” (invocabile solo da chi non conosce i rapporti fra genitori separati!!) e venne ribadito da parte del governo che “gli spostamenti per raggiungere figli minorenni presso l’altro genitore oppure per condurli presso di sé sono consentiti anche da un comune all’altro, nel rispetto di tutte le prescrizioni di carattere sanitario ecc. e nel rispetto dei provvedimenti di separazione e divorzio, ma anche in assenza di tali provvedimenti, secondo quanto concordato tra i genitori “(?!)

Decine e decine di dubbi e soluzioni diverse lasciate agli stessi genitori (che ovviamente non trovavano l’accordo), ai loro avvocati o alle forze dell’ordine, chiamate ad applicare disposizioni programmatiche avulse dalla realtà dei rapporti spesso conflittuali fra i genitori! 

Il quesito giuridico rimase nella sua drammaticità, ma anche nella sua valenza costituzionale iniziale: “il diritto del genitore di spostarsi per raggiungere i figli è consentito sempre o solo se vi sia una situazione di reale necessità?”

E la tutela della salute? I tribunali nella maggioranza optarono per la tutela della salute, ma non tutti.

Il tribunale di Velletri in data 8 aprile modificò addirittura la collocazione di un minore di 10 anni, che in sede di separazione era stata fissata presso la madre, trasferendola presso il padre, dato che la madre lavorava in ospedale… 

Il Tribunale di Verona ha modificato i provvedimenti in essere fra i genitori separati (27/03/2020) stabilendo un collocamento alternato del figlio per evitare spostamenti troppo frequenti, là dove vi era una diversa regolamentazione.

A tutela della salute decisero il Tribunale di Vasto con decreto 02.04.2020, il  Tribunale di Napoli con decreto 26.03.2020(che vietò addirittura le visite del non collocatario alla residenza del collocatario) il Tribunale di Bari e la Corte d’Appello di Bari, entrambe con decreto 26 marzo 2020, che hanno esplicitamente dichiarato il diritto dei genitori ad incontrare i figli recessivo rispetto alle limitazioni alla circolazione, sospendendo le visite paterne, e, invocando “un diritto alla prudenza”, trasformando la frequentazione in contatti virtuali, tramite strumenti telematici (skype, whatsapp ed altri). Ciò per evitare il rischio di contagio da coronavirus legato allo spostamento dei bambini da un comune all’altro.

Ma in senso contrario il Tribunale di Roma (07/04/2000) ha autorizzato lo spostamento di un figlio dalla Calabria al Lazio e quello di Busto Arsizio 03/04/2000 ha cassato la sospensione degli incontri padre/figlio disposta dal Servizio Sociale dichiarando che i DPCM consentono, in via eccezionale, gli spostamenti durante l’epidemia, che si rendono necessari per ottemperare agli obblighi di visita dei figli disposti dal Giudice. L’incertezza derivante dall’attuale quadro normativo – caratterizzato da una convulsa successione di provvedimenti e dalla sovrapposizione di fonti normative di vario livello – è confermata anche dalla richiesta del 30 /03/2020 di chiarimenti formulata dall’Unione delle Camere Minorili. Infatti, l’Unione delle Camere Minorili, sulla premessa che “si è in presenza di diritti fondamentali, il diritto alle relazioni familiari e il diritto alla salute, riconosciuti dalla Carta Costituzionale e dalla CEDU che hanno pari rango, ma vanno bilanciati ponendo al centro di tale equilibrio il migliore interesse delle persone minori di età”, ha richiesto al Governo un chiarimento in merito alla legittimità degli spostamenti per le visite ai figli e per i ricongiungimenti con la propria famiglia, anche da un comune all’altro o da una regione all’altra, ovviamente con le cautele del caso per ridurre il rischio di diffusione del contagio, e fatti salvi gli obblighi di quarantena. In un siffatto contesto vi è il rischio concreto che si pervenga, in modo irragionevole, a soluzioni difformi a seconda del luogo in cui sono ubicati i figli ed i genitori e della relativa normativa regionale o, addirittura, comunale, di volta in volta applicabile. Infatti vi è stato anche chi ha fatto distinzione fra i figli infra seienni e quelli di età superiore ai 6 anni (i primi non dovevano spostarsi gli altri sì)

A Reggio E. invece– inaudita altera parte- un padre, residente a Bolzano con nuova famiglia e altri figli, è stato autorizzato dal Giudice Tutelare a venire a prendere il figlio residente in provincia di Reggio E. per portarselo a casa, attraversando di fatto due o tre zone rosse. Di fronte alla opposizione della madre il Giudice ha prescritto al padre di portare con sé i certificati di non positività dei famigliari (che egli non portò). 

I Carabinieri di Verona all’opposto hanno impedito ad un padre di Reggio E. di prelevare i figli a Verona per portarli nella propria residenza, mentre un padre abitante a Reggio E., che viaggia quotidianamente in treno per lavoro, recandosi a Milano, ha potuto vedere e tenere con sé i figli secondo i provvedimenti del divorzio.

La genericità degli interventi del governo così ha esposto al rischio contagio decine di minori ed i consigli di usare il buon senso e di trovare la soluzione giusta per ogni caso concreto, evitando la compressione sia dei diritti costituzionali che di quelli personali, sono stati semplicemente irenici.

In sintesi, mentre all’inizio l’opinione generale era orientata, come di consueto, alla difesa dei diritti individuali (e quindi alla tutela della genitorialità), in seguito la gravità del contagio ha fatto riemergere la necessità di tutelare anche il bene comune. Questo però ha comportato il problema di armonizzare le due esigenze, a cui il Governo ha risposto con un eccessivo autoritarismo cercando di determinare per decreto legge le singole situazioni umane. Per ora non siamo ancora giunti a soluzioni valide, come si è visto con l’ultimo decreto impostato sulle “relazioni stabili”

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